mercoledì 28 settembre 2011

Adolescenti e autostima

Ho quella che si definisce una memoria di ferro, ma questa mattina sto facendo fatica. 
Sto cercando di ricordare come ero io da adolescente. Come mi vedevo e quali erano le mie paure, i miei complessi ed i miei sogni.

Vorrei farlo per capire meglio mia figlia e sostenerla in questo momento dove pare che niente di lei le piaccia e che tutto quello che la circonda le dia fastidio.

Ha deciso di anticipare la sveglia alle 6,20 per potersi truccare e sistemare i capelli prima di andare a scuola.
In ogni caso i capelli non vanno mai bene: se lasciati naturali, cioè mossi, dice che pare una signora con la messa in piega, se tirati con spazzola e phon stanno gonfi, se piastrati poi comunque con questa umidità si arricciano, il cerchietto fa bambina ed il fermaglio non è mai quello giusto.

L’occhio sinistro viene bene, il destro è sempre diverso…e poi ha deciso che ha un occhio più piccolo dell’altro e mi guarda accusatoria.

Gonne no perché ha le gambe grosse, jeans sì, ma dipende. 
Questi fanno il culo basso, questi fanno le cosce da rana. 
Questa maglietta mi tira, si vede la pancia. Questa andrebbe bene se fosse di un altro colore, quest’altra dovrei essere più magra.

Quando mai mi sono comprata queste scarpe che cammino come una scema. Le perderò per strada. 
Le All Stars hanno la punta stretta, meglio le Vans. Perché ho il piede largo?!

Perché non sono alta come te? Perché non sono magra come te?
Forse perché qualcosina c’entra anche tuo padre? Lui giocava a rugby, hai presente?

Le rispondo che ho abbondantemente il triplo dei suoi anni, che come difetto mi pare più che sufficiente.

E mi sono ricordata com’ero a quindici anni: allampanata, piatta come una tavola, brufolosa. 
L’unica cosa che mi piaceva di me erano le mani. Per trovare un uomo che le apprezzasse ho dovuto aspettare anni…

Andavo a passeggio con la mia amica Elena, piena di curve, bionda e pelle di pesca, incontrando ragazzi che lei continuava a presentarmi, perché non si ricordavano mai di avermi già conosciuta.
Ero così insignificante e goffa che mi vengono i brividi solo al ricordo.

Avevo i denti sporgenti, come adesso del resto, ma allora mettevo sempre la mano davanti quando ridevo.  Mi truccavo gli occhi sospirando, perché non erano grigi come quelli di mio padre.

Là fuori il mondo era ostile. Esattamente come lo è per mia figlia ora.
Io sognavo l’Inghilterra e lei sogna il Giappone.
Solo lontano si pensa che potremmo essere a nostro agio, tra persone diverse da quelle che incontriamo tutti i giorni, ai nostri occhi grette e vuote.

Ci vuole tempo per capire che tutto parte da noi, che quello che c’è intorno non è determinante.
La strada da percorrere per trovare l’autostima è lunga, cercherò di accompagnarla, tanto anch’io non ci sono ancora arrivata del tutto…
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martedì 27 settembre 2011

Avventure friulane

Oggi voglio parlare di Soprapaludo, una piccolissima frazione vicino San Daniele del Friuli, dove vivevano i parenti di mio padre.

Il nome è brutto ma in realtà paludi non ce n’erano, solo un piccolo laghetto. 
Ricordo campi di mais e girasoli, collinette alberate, stradine bianche e fossi, montagne in lontananza.

Si andava almeno una volta l’anno e si faceva il giro da tutti. 
Alcuni cugini abitavano in altri paesini lì vicino, ma tutti dovevano invitarti a pranzo e a cena e ti volevano portare dal più bravo produttore di prosciutto crudo per fare scorta.

La mia fortuna era che a fianco dello zio abitava una famiglia dove c’era una bambina della mia età, amica da sempre, con la quale durante l’anno ci scrivevamo e che mi aspettava impaziente per giocare.

Le mie giornate friulane erano molto diverse e avventurose rispetto a quelle cittadine.

Intanto appena arrivati, si può dire mentre eravamo ancora in auto, la zia prendeva il coniglio più bello, ce lo mostrava da lontano e con un colpo secco sul collo lo uccideva ed in un attimo era scuoiato e appeso. Uno spettacolo raccapricciante che mi rovinava sempre i saluti di benvenuto.

Con la mia amichetta si cominciava a girovagare, prima di tutto dai conigli, per consolarli… poi andavamo da suo nonno, che abitava lì vicino, per vedere le mucche e i vitellini ma soprattutto i volatili da cortile più belli che esistessero: fagiani dorati e pavoni, galline e galli di razze pregiate, faraone ed enormi tacchini. 
Anche qui però c’era il risvolto “pulp”: il nonno era appassionato di tassidermia ed aveva un locale dove esponeva i suoi lavori, pieno di volpi, pavoni, cerbiatti e teste varie impagliate con gli occhi di vetro. Orribile.

Tutti mi prendevano in giro perché ero così pallida ed impressionabile.
C’era un granaio con montagne di pannocchie e bidoni pieni di miele da filtrare. Da lì pescavamo pezzi di cera gocciolante e la tenevamo in bocca come fosse gomma da masticare.
Andavamo negli orti a rubare i pomodori più saporiti che io ricordi e su un albero di noci, sporcandoci tantissimo.
Giocavamo a nascondino nei campi di granturco, per scappare da suo fratello, che era più piccolo. 

Ricordo paioli enormi di polenta bianca fumante, rovesciata sul tagliere. Lo zio ci passava sotto uno spago e la tagliava a fette.  
Le cose più semplici erano per me fonte di continua meraviglia.

Trascorsero gli anni.   
Noi crescevamo e dai giochi eravamo passate alle confidenze tra ragazzine, ai sogni per il futuro. 
Lei aveva decine di fotoromanzi, che io a Verona non compravo mai, ma che divoravo quando andavo a trovarla.   
Erano così pieni di storie d’amore appassionanti e di ragazzi bellissimi. 
Mi vedo ancora nel lettino con le lenzuola felpate a sospirare per Franco Gasparri…

Le case di Soprapaludo sono state lesionate dal terremoto del '76 e tutti sono andati ad abitare da altre parti.
Noi abbiamo finito la scuola e lei si è sposata prestissimo. Ci siamo viste ancora qualche volta, ma ormai gli impegni della vita ci dividevano ed io non riuscivo ad accompagnare sempre i miei nella visita annuale.
Però l’ho ritrovata su Facebook ed è stata una grande gioia.  Spero proprio di riuscire ad organizzare una gita per far conoscere a mia figlia parenti che non ha mai visto e soprattutto lei, la mia amica d’infanzia.

Mi auguro solo che nessuno ammazzi un coniglio appena arriviamo.
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domenica 25 settembre 2011

"É prevista l'archiviazione di questo gruppo"

In questi giorni chiunque usi Facebook e abbia dato un’occhiata a Google + si è accorto dei vari dispetti che si stanno facendo a vicenda, delle scopiazzature, della voglia di superarsi che li divora. 
Chi ci va di mezzo è, come spesso accade, il povero utente.

Ho aderito a Google + praticamente per forza d’inerzia, senza peraltro darmi da fare minimamente con cerchie ed altre diavolerie che si sono inventati.
Come si dice: ho già dato.  

Con Facebook ho percorso tutta la trafila, dalla ricerca degli amici, al caricamento di centinaia di foto, alla condivisione di video e notizie salienti, ai vari “mi piace”; ho taggato, ho giocato a Farmville diventando vicina pure degli sconosciuti, ho aderito a causes: di tutto e di più insomma.

La cosa migliore che avevo fatto era stata la creazione di un gruppo. 

Il gruppo dei miei ex colleghi della società di consulenza per cui ho lavorato prima di smettere e dedicarmi alla famiglia.

In particolare il gruppo doveva racchiudere solo la divisione “software per le banche”, circa un centinaio di persone che poi erano state riassorbite nella società madre o si erano licenziate.

Tutta gente che all’epoca, cioè a cavallo degli anni ’90, aveva circa 30 anni, molti dei quali single. 
Nei miei ricordi eravamo molto uniti. 
Ci trovavamo dopo l’ufficio per cenare o per andare al cinema. La domenica andavamo spesso in montagna. Avevamo visto insieme concerti. Con molti ci eravamo confidati e avevamo condiviso delusioni amorose e lavorative, le preoccupazioni per l’acquisto della prima casa, avevamo organizzato scherzi e gettato riso a chi tra di noi si era finalmente sposato.

Per me andarmene, pure per un ottimo e bellissimo motivo, era stato triste.
Avevo cambiato città e per anni non avevo più visto ne’ sentito quasi nessuno.
 
Quando mi sono iscritta a Facebook la prima cosa che ho fatto è stato cercarli per ricreare il gruppo di allora.
Nella mia testa tutto era cristallizzato alla fine del 1994.
Sognavo di ritrovarli per rivederci e divertirci ancora come allora, quando andavamo a mangiare la carne salata ad Arco o facevamo il mitico Gambero’s day (una grigliata epica sulle colline di Caprino Veronese).

Ho iniziato a scandagliare la rete, ma anche le pagine bianche.
Ho perfino scritto lettere vere, spedite con il francobollo, a quelli di cui non trovavo l’indirizzo e-mail.

Una decina di persone hanno aderito subito e sono state anche gentili. Felici di ritrovarsi nelle vecchie foto e di avere mie notizie.
Poi sono iniziate le prime delusioni.
Chi si diceva troppo impegnato per perdere tempo su Facebook, chi rispondeva laconicamente e si iscriveva al gruppo giusto per darmi il contentino, chi prometteva che prima o poi si sarebbe deciso ma che aveva paura per la sua privacy ed altre scuse.
In tre anni ho racimolato 35 iscritti, partecipato ad una cena in cui eravamo in 8 e purtroppo al funerale di una di noi dove superavamo a stento la decina.
Ho scritto in bacheca auguri di Natale ai quali hanno risposto in 3. A Pasqua ho evitato, ma nessuno se ne è accorto.

Per gli altri la vita era andata avanti. Anche per me, ovviamente. Ma per loro era soprattutto la vita lavorativa che era proseguita. Con altri colleghi, con un’altra testa.   
Quello che per me era il punto finale di un’esperienza, una specie di ultimo anno di scuola, per loro era solo un periodo come un altro del percorso lavorativo.

Adesso Facebook mi dice che il gruppo verrà archiviato. I gruppi spariranno nei prossimi mesi e dovranno eventualmente essere sostituiti da liste.
Appena letto il messaggio ci sono rimasta male, pensando a tutta la fatica che avevo fatto per creare il gruppo e scannerizzare le foto. 
Poi ho pensato che era meglio così. Quello che non avevo avuto il coraggio di fare io l’ha deciso la competizione con Google + e le sue cerchie.

Questo gruppo esisteva solo nei miei ricordi e tutto sommato sarebbe stato meglio che lì fosse rimasto.
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sabato 24 settembre 2011

La vita nelle foto - Henri Cartier-Bresson

Ho visitato la mostra dedicata a Henri Cartier-Bresson presso gli Scavi Scaligeri qui a Verona. 


Che dire?  
Chiunque ami la fotografia non può che rimanere estasiato e nello stesso tempo umiliato di fronte a tanta bravura, alla capacità di fissare l’attimo preciso in cui tutto esprime il significato più alto, in cui tutto è perfetto dalla luce all’inquadratura, in cui anche quello che per chiunque altro sarebbe un difetto diventa il pregio stesso della foto.


Per me vedere le opere di questi fotografi del ‘900, quasi coetanei e sicuramente ispiratori della grande passione di mio padre, è sempre un’esperienza toccante.

Io che ho passato lunghe ore in camera oscura, tra ingranditore e bacinelle, a contare i secondi di esposizione in una luce rossastra e quasi magica, io so tutto quello che c’è dietro ad uno scatto, ad una perfetta stampa in bianco e nero.
Io che accompagnavo mio padre lungo le stradine della Spagna o della Turchia, portando l’esposimetro con la tapparellina dorata ed il pennellino con la pompetta, cercando lo scorcio giusto, la persona tipica, l’insieme perfetto da inquadrare, io so quanto è difficile fissare sul negativo di una macchina completamente manuale la foto che abbiamo in mente.  
Ci vuole occhio e anche fortuna, molta pazienza ed esperienza.
Tutte qualità che Cartier-Bresson aveva in abbondanza.

Poi, aldilà della bellezza intrinseca delle opere, la cosa che più mi ha colpito sono state le persone fotografate.   
C’erano foto dagli anni trenta fino agli anni sessanta, scattate in tutto il mondo ma una cosa le accumunava: la gente sembrava molto diversa da quella di oggi. 
Non so se dipende solo dagli abiti o dalle pettinature. I volti sono diversi, le espressioni e forse anche le pose.
E' difficile esprimere questa cosa, forse sembravano tutti più ingenui, più semplici.
Anche i personaggi famosi, come Sartre o Capote apparivano modesti e umili.
Ecco, mancava la strafottenza. 
La sfrontatezza di fronte all’obiettivo che abbiamo oggi.

O forse anche in questo caso è stata la bravura del fotografo a cogliere l’essenza più vera delle persone.
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venerdì 23 settembre 2011

Immondizia spaziale

La notizia bisogna cercarla in mezzo a tutto il lerciume che c’è nei giornali in questo periodo. 

Si parla sempre di spazzatura, ma in questo caso di spazzatura spaziale.

Infatti questa notte, oppure questa sera o domani mattina chissà, pezzi di un vecchio satellite americano cadranno sulla Terra.

Gli studiosi del caso sembrano abbastanza tranquilli. Dovrebbe disintegrarsi al contatto con l’atmosfera. 
Forse qualche pezzo passerà, ma non più grande di un autobus e comunque è difficile che cada proprio su una persona…
Ma stiamo scherzando?!

In realtà sanno pochissimo. L’orbita di discesa è ellittica e quindi la zona dell’eventuale impatto è vasta, tutto il nord ovest dell’Italia, praticamente. 
Ma forse no. Comunque dicono che è meglio stare in casa, sotto agli architravi. 
A me non pare un buon segno.

Si sa che nella vita conviene essere fatalisti, ma qui stiamo un po’ esagerando. 
Avevo letto un romanzo, non ricordo assolutamente niente della storia, se non che un miniscolo meteorite, non più grande di un chicco di riso, cadeva in testa a un tipo, uccidendolo sul colpo.

Qui parliamo di pezzi che vanno dai 150 chili alle 5 tonnellate, e non dobbiamo preoccuparci?

Nello stesso tempo mi casca l’occhio sul blog di Piergiorgio Odifreddi, un matematico di grido, che discute con altri cervelloni della velocità dei neutrini. 
Se è o meno superiore a quella della luce. Forse è impercettibilmente superiore dello 0,00025%. 
Probabilmente è una scoperta importantissima e io sono una capra, però… potevano rimandare un attimo questo studio fondamentale e dedicarsi al calcolo della traiettoria e velocità di questo benedetto UARS che ci sta precipitando addosso?

Ma che importa qualche vita umana spiaccicata in confronto alla possibilità di sbugiardare Einstein?
Mai lasciarsi distrarre dalle emozioni.
Io l’ho sempre pensato: gli scienziati non vivono, funzionano.
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mercoledì 21 settembre 2011

I giochi di una volta

Venerdì inizierà a Verona la rassegna “Tocatì” (Tocca a te, in italiano) che animerà le strade del centro fino a domenica.

E’ una bellissima manifestazione che si svolge ormai da diversi anni e che fa conoscere ai più piccoli gli antichi giochi di strada e ai più grandi provoca ovviamente mille ricordi.

Ci sono i carrettini di legno su ruote, quelli che mio padre raccontava costruiti con cassette della frutta e cuscinetti a sfera, trottole, cerchi, birilli, il salto con la corda e campana (da noi si chiamava “peta”).

Mia figlia e moltissimi suoi coetanei non conoscono questi giochi. 
Quando durante l’ora di educazione fisica hanno dovuto saltare la corda, a malapena riuscivano a non inciampare.
Io mi ricordo interi pomeriggi estivi passati a saltare una corda lunghissima, girata a turno da due di noi, entrando ed uscendo con destrezza sia in avanti che all’indietro. Ci si poteva incrociare oppure vedere in quanti si riusciva a saltare insieme senza sbagliare.

A peta giocavamo sul tetto del garage condominiale. Siccome era fatto a quadri di cemento uniti dal catrame, ci risparmiavamo di disegnare il percorso e dovevamo solo scrivere i numeri. Si lanciava un sasso e su un piede solo si faceva tutto il percorso. Poi lo si ripeteva ad occhi chiusi dicendo AM e se non si calpestava nessuna riga, gli altri rispondevano SALAM.

Si giocava ai quattro cantoni usando il grande stenditoio in giardino ed anche a Rialzo, dove ci si rincorreva, ma se si saliva su qualcosa si era salvi.

C’erano Un due tre stella! e Strega comanda colore, Palla popolo e Guardie e ladri.   
Noi ci inventavamo anche una versione casalinga di Giochi senza frontiere, con diverse prove che prevedevano sempre di bagnarsi tantissimo.

Adesso tutti questi ricordi sono oggetto di una mostra…. 
E’ cambiato tutto. Giocare per strada è pericoloso, lasciare i figli per ore in giro tra cortili e campetti è assurdo. 

Così abbiamo allevato una massa di pigroni, spesso annoiati e soli. 
Si parlano solo attraverso il computer o gli sms, giocano con la Playstation o con la Wii, se fanno sport è con orari definiti e in palestre a pagamento.

Andare contro corrente è difficile. 
Proponi qualche passatempo antico e ti guardano con un certo compatimento, cercando di capire dov’è il divertimento e facendoti spesso passare per uno stupido primitivo.

Forse eravamo davvero meno svegli e più sempliciotti, ma avevamo sicuramente una cera migliore!
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lunedì 19 settembre 2011

Lo schifo dilagante

Ho cercato di evitarlo, ma non ce l'ho fatta.

Alla fine anch'io ho visto il video dell’intervista a tale Terry de Nicolò, una puttana fatta e finita, che spiegava a tutti noi, poveri sfigati, come va il mondo e cosa bisogna fare per essere leoni e non pecore.

Nonostante uno sappia che certe cose esistono, che certi modi di vivere ci sono sempre stati, si resta comunque basiti di fronte a tanto cinismo e a tanto vuoto morale.

La cosa che fa più male è che sembra che questo atteggiamento si stia diffondendo a macchia d’olio.  Ormai avere una cattiva reputazione fa curriculum.  La disonestà a tutti i livelli è normale ed anzi caldamente consigliata.  L’impressione è che il marcio sia ovunque e non ci sia alternativa.

Nel piccolo mondo in cui vivo io ci sono ancora le persone normali. 
Gente che lavora onestamente. 
Gente che ha il mutuo da pagare e sta attenta al 3 x 2 al supermercato. 
Persone che trovano il cellulare perduto da tua figlia e ti telefonano per restituirtelo.  
Mariti innamorati della propria moglie e viceversa.   
Ragazze timide. Settantacinquenni che fanno i nonni affettuosi.

Questo mi da’ speranza.  Si sa, la normalità non fa notizia. 
Ma spero che sia davvero la maggioranza delle persone quella che si comporta “normalmente”.

Resta il fatto che ci sarebbe bisogno di un bel repulisti. In tutti i sensi. 
Una ridimensionata a tanti politici e anche ai giornalisti. 
Che la smettessero di ammorbarci con il bollettino delle scopate del premier.   
Che se la vedano i magistrati. Che la giustizia faccia il suo corso nelle aule dei tribunali. 

Ma sui giornali ed in TV vorrei notizie di altro tono. 
La vera politica. La vera economia. La cronaca nera senza fronzoli e poi le buone notizie, quelle su qualcuno che è riuscito in qualche impresa, che ha inventato qualcosa di utile, che ci ha fatto fare bella figura all’estero.   Persone che hanno  studiato, che hanno fatto la gavetta. 
Il gossip lo lascerei solo alla gente di spettacolo e sui giornali da leggere dalla parrucchiera. 

In questo momento mi sembra un’utopia. Devo fare una full immersion di parenti, amici e conoscenti. Giusto per ricordarmi che la realtà può essere diversa da quella desolante descritta da una escort semianalfabeta.
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sabato 17 settembre 2011

Cara Nonna Fletcher

Oggi a mezzogiorno, cercando di evitare qualsiasi telegiornale che ci rovinasse l’appetito, siamo incappati nell’ennesima replica de “La signora in giallo”.   

Questo telefilm, più di ogni altro, accompagna da sempre la mia vita coniugale.
Mi sembra di ricordare che all’ora di pranzo ci sia sempre stato. 

Le indagini della simpatica Jessica Fletcher ci fanno compagnia fin dai primi anni novanta. 
Penso di aver visto gli episodi 3 o 4 volte ciascuno, ma non importa. Sono sempre carini.
Allattavo mia figlia guardandoli e da allora per noi la protagonista è diventata “Nonna Fletcher”.  
Cosa mi piace di questa serie? E’ prevedibile e quindi rassicurante.

Si sa che dove c’è la Fletcher accadranno uno o più delitti.
La polizia arresterà la persona sbagliata e Jessica si intrometterà e riuscirà a far confessare il vero assassino. Tutto finirà con una bella risata, alla faccia dei morti ammazzati.

Lei gira in bicicletta con la gonna a pieghe e il maglioncino. 
A Cabot Cove, dove vive, la popolazione è stata ormai decimata dai vari assassini protagonisti degli episodi, ma tutti la amano ugualmente, dallo sceriffo al medico condotto.

Penso che sia la più grande iettatrice esistente, dato che ogni luogo che frequenta diventa subito teatro dei crimini più disparati.  
Se durante un viaggio di trasferimento l’automobile ha un guasto, qualcuno che conosce il meccanico o l’albergatore che la ospita verrà ucciso nel giro di poche ore.
Se fa una crociera, se ritira un premio letterario a New York o a San Francisco, se va a trovare vecchi amici in Florida o nel Kentucky … ci scappa il morto!

Infatti il divertimento per noi spettatori è quello: scommettere, a pochi minuti dall’inizio della puntata, chi verrà ammazzato per primo.

Ricordo che nelle prime serie lei usava ancora la macchina per scrivere, poi è passata al computer. Questo comunque si vede solo nella sigla perché, anche se ci dicono che sia una famosa autrice di gialli, è sempre impegnata ad investigare o a fare altro. Mistero…

Nonna Fletcher ha il potere di illudermi che il tempo si può fermare, che tutto può restare immutato, noi, la nostra famiglia a pranzo, il caffè sul divano e la sua squillante risata alla fine dell’episodio.
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